Vetan

Edizioni

Prima edizione: Liaison editrice, a cura di Antonio Ria, con uno scritto di Paolo Di Paolo, Courmayeur 2008.

 

Titolo

«Il suono del nome è bello, musicale: e l’immagine del luogo nasce in me da lontano» scrive Lalla Romano parlando dell’«ultima tappa» dei suoi soggiorni in montagna, dopo Cheneil e Courmayeur, nel villaggio valdostano, Vetan, da cui prende il nome il libro.

Argomento

Vetan è il luogo dove si consuma la passione dell’autrice per la montagna, dall’infanzia alla maturità. Una lunga storia, già raccontata ne La villeggiante, che qui si conclude e acquista nuova luce dal commento di Paolo Di Paolo e dalla pubblicazione in volume che la valorizza. Il racconto le era stato richiesta nel 1997 dal «Corriere della Sera» per una serie di letture sui luoghi emblematici e significativi dell’estate. La scelta di parlare di Vetan le era sembrata naturale; qui lei incontrava amici ed editori, venuti apposta da lontano per vederla e discutere progetti comuni. Protagonisti di questo breve testo sono in fondo i personaggi “speciali” di questa località.

Incipit

   Il suono del nome è bello, musicale; e l’immagine del luogo nasce in me da lontano.

   Vetan (a 1700 metri d’altezza) fa parte del comune di Saint Pierre, pochi chilometri dopo Aosta in direzione del Monte Bianco.

   Ho spedito una volta la cartolina del posto al mio amico Giulio Bollati di Saint Pierre: «Un saluto dal tuo feudo». (Ma forse non era così).

   La passione per il complesso mondo della Valle, esplorata negli anni, è cresciuta sul mio legame nativo col mistero della montagna.

Antologia critica

Nel caso di Lalla Romano, la montagna è, per ragioni di nascita e di scelta, lo spazio privilegiato della geografia emotiva. L’austerità, la castità (casto e austero ha detto una volta Calvino del mondo narrativo dell’amica scrittrice), la ruvidezza, la rarefazione. Il bianco. Il silenzio.

«Il tema del silenzio mi appare inesauribile», scrive nel Diario ultimo (Einaudi, 2006). La musica come una forma di silenzio; il silenzio che vive di se stesso: pienezza, appagamento; «Amo il silenzio, amo / come il silenzio / mi ascolta / e mi ama». Quasi un’ossessione – ma benefica: si può scrivere con il silenzio? Lalla Romano, sulla soglia estrema, continua a chiederselo. Ha tentato, lungo l’intero suo itinerario poetico e narrativo (e perfino pittorico), di fare i conti con la misteriosa assenza da cui ogni suono/voce nasce e in cui si spegne: l’assenza di prima del Verbo, e di dopo. Circondare di silenzio le parole, diceva: caricarle di senso isolandole nello spazio bianco della pagina (che l’abbia appreso da Flaubert, amato e tradotto?). […]

Nelle ultime interviste filmate alla scrittrice, contano molto più le pause che le parole. O meglio, le parole – pronunciate a fatica, sussurrate – acquistano vigore dalla lunga pausa che le precede e le segue. […]

«Nel silenzio intatto, siderale» di questi paesaggi valdostani, Romano spende intere le possibilità del suo sentire. Ne deriva uno stile descrittivo mai ozioso o laccato; poetico soprattutto quando non vuole esserlo troppo. I gesti rapidi, l’ostinazione della salita preparano l’indugio della visione, il cui referto si va componendo di frasi svelte, come i tratti di uno schizzo su carta. Nella progressiva precisazione del paesaggio montano, lo sforzo dello sguardo impressionista trattiene i colori, ne annota le diverse gradazioni o evoluzioni. […] Spesso Romano lascia affiorare come un senso di vertigine, il contato con il mistero del paesaggio […]. Resta in contemplazione, scopre come miracolosamente questa specie di spazio finisca per coincidere con quello della scrittura. […]

È sorprendente, praticamente in tutti i libri di Lalla Romano, la capacità di rivelare il carattere dei luoghi. Quella precisa ora («ogni luogo ha la sua ora»), quella precisa luce, un dettaglio, un odore concorrono a definire l’ambiente naturale come si definirebbe un volto umano. «Guardare il bacino di un fiume su una carta topografica è come guardare una foglia con le sue nervature, o il palmo della mano». Il carattere quindi, più che il semplice aspetto del paesaggio. Così, il rapporto tra luoghi e persone è un cortocircuito attivato da diversi caratteri. […]

Come a una persona, così è possibile infine rivolgersi a un luogo. Quando in esso abbiamo rintracciato la verità di un carattere, il mistero che in qualche modo lo rende umano (perché umano è lo sguardo che lo comprende in sé). Nelle opere di Lalla Romano questo rapporto di vicinanza con le cose e con gli altri viene conquistato per accumulo di rivelazioni improvvise. Che siano luci o gesti o frasi, la scrittrice – nell’atto di salvataggio, nella maniera di essere che è per lei la scrittura – ne fissa l’intensità isolandola nel bianco e nel silenzio.

 

 

Paolo di Paolo

Ciao, valle, in L. Romano, Vetan, Liaison editrice, Courmayeur 2008, pp.35-45