Diario ultimo
Edizioni
Prima edizione: Einaudi («Supercoralli»), a cura di Antonio Ria, Torino 2006.
Titolo
Dal marzo 2000 al gennaio 2001, quasi in prossimità della morte, Lalla Romano, ormai cieca, con l’aiuto di Antonio Ria, ha annotato i suoi pensieri, poesie, aforismi, in una forma letteraria che ha sempre amato: la scrittura diaristica. Sono le parole estreme di una scrittrice che di sé ha detto: «Non mi importa che sia ricordato il mio nome, ma che siano letti i miei libri e conservati i miei quadri».
Argomento
Opera finale, ma non finita, in cui si snodano in forma di aforismi i temi del silenzio, del tempo, della memoria, della bellezza, dell’inquietudine religiosa. In una scrittura ridotta all’osso, scarnificata, la scrittrice lascia il testamento di una vita, la quintessenza della sua poetica. E, in appendice al testo, quando ormai la vita e le forze fuggono, Lalla affida ad un’unica parola-chiave la sintesi di una storia, di un’emozione, di un sentimento.
L’ultima parola è dettata il 14 febbraio: «Depressione».
Incipit
Marzo 2000
Chopin-Rubinstein (oggi)
Massime consolatorie
Nessuno è tentato al di sopra delle sue forze.
K.466 Mozart.
Schubert. Piano a 4 mani.
L’enigma del caso Bagutta
Soldati, ogni volta che scrivevo un libro, mi diceva: bellissimo. Ma i giudici gli avevano promesso che, come lui voleva, non mi avrebbero votata. Fu sempre così. Credo di essere l’unico scrittore italiano che non ha vinto il Bagutta.
Il presente non è che il frutto del passato e serve a giudicarlo
ma possiamo – forse – rifiutarlo
il presente condanna o riscatta il passato
Antologia della critica
La condizione in cui Lalla Romano ha vissuto nei suoi anni più tardi fa pensare alla condizione stessa della scrittura. Quasi cieca, provata nel corpo e nell’anima, la scrittrice annota su grandi fogli bianchi poche parole essenziali, traccia frammenti di pensieri, fissa memorie ed emozioni. «Scrivo da cieca. Che vuol dire?» È questa la domanda che a un certo punto affiora nel testo, dopo essere rimasta a lungo sospesa fra le righe. Vien da rispondere, sulla scorta della testimonianza lucida e toccante che Lalla Romano ha voluto lasciarci, che non si può scrivere altrimenti che così. Che cosa significa infatti scrivere, se non strappare un senso possibile al nulla e al silenzio? Sia pure per rituffare nel silenzio tutte le voci del mondo, tutti i suoni e i simboli, perché come dice Lalla Romano esso «contiene tutte le musiche e le parole». Queste pagine sanno essere impietose: dicono la sofferenza e la disperazione. Ma il loro stigma più vero è la pietà: pietà per il vivente. E se non hanno la loro ragione che in se stesse, tuttavia è «per amore» che sono state scritte.
Sergio Givone
Risvolto di copertina a L. Romano, Diario ultimo, Einaudi, Torino 2006
Il silenzio, nella sua istanza ultima, è il congedo e compimento che Lalla Romano accoglie, assorbe, nei suoi testi estremi, editi con il titolo Diario ultimo e dai quali traggo questi pochi versi: «Silenzio come pienezza / non povertà. / Dal silenzio nasce sia l’attesa che / l’appagamento».
Carlo Ossola
«Il Sole 24 Ore / Domenica», 30 aprile 2006