Dall’ombra
Edizioni
Prima edizione: Einaudi («Supercoralli»), Torino 1999.
Titolo
«“Dall’ombra” escono vite (persone) che ho in qualche modo amato, che mi hanno offerto un aspetto misterioso ma intensamente espressivo della segreta forza delle nostre vite. Tutte “dall’ombra”, comunque, della loro vita defunta.
Le figure e la loro storia, o parvenza di essa, appartengono all’irrevocabile segreto del passato, ma tutte ho sentito emblematiche di qualcosa di noi, del nostro tempo» (Lalla Romano).
Argomento
Il racconto «degli anni di Cuneo» di Lalla Romano, quelli dell’adolescenza, completano la trilogia iniziata con il libro dell’infanzia, La penombra che abbiamo attraversato, e proseguita con quello legato agli anni dell’università, Una giovinezza inventata. Da un passato lontano emergono figure ed episodi minuti di compagne di scuola, di amori infelici, di letture, di adulti misteriosi e svaniti nel tempo. A una prima parte scandita dalle brevi storie dei personaggi evocati («Zoe», «Zia Cuja»…), segue una seconda composta di due racconti più estesi («La casa agli Orti», «La cucina») che ne costituiscono l’antefatto.
Incipit
Zoe
Da tanti anni in un giardino buio, di notte, è seduta accanto a un tavolo con la testa china, come dormisse: qualche volta col braccio appoggiato al tavolino. Aspetta. Io so che è lei, Zoe.
Mi piace incominciare da quando lei risale la vecchia via Roma (dove stava coi fratelli in pensione), e passa sotto il balcone della casa di «zio dottore»: con le manine ai ferri del balcone c’è Augusto, il bambino piccolo, che conosce Zoe perché sua madre lo porta da noi, agli Orti. Augusto la saluta: – Ciao, Fove!
Lei risaliva la grande piazza, poi il corso Nizza fino alla nostra casa coi due platani, i due orti e, dietro il nostro giardino, il grande prato. Faceva quella lunga strada tutti i pomeriggi: veniva a prendermi per le lezioni dalle due alle quattro. La vedevo arrivare: camminava lungo le rotaie del tram di Demonte. Ritornava con me a casa mia anche dopo le lezioni, riassettava gli scaffali dell mia libreria: la mamma era contenta. Le piaceva molto Zoe.
Antologia della critica
Quel che affascina in Lalla Romano è che incanta il lettore senza raccontare niente. Dall’ombra raccoglie una serie di ricordi sulla sua adolescenza (di giovinetta e di studentessa). Si riferiscono a episodi minimi dall’aneddotica elementare. […]
Piccoli (privi di clamore) sono gli episodi rievocati, minime le situazioni che tuttavia posseggono una forte energia comunicativa. […]
Grande performance per una scrittrice ultranovantenne che ha sempre coltivato uno stile limpido, che non si attarda; una lingua essenziale e vibrante, ma lontana da ogni facile commozione. O forse una lingua visiva imparentata più che con la pittura di interni del conterraneo Casorati, ancora ottocentesco, con certo iperrealismo francese che trascura l’arbitrio della rappresentazione a colori per la certezza della fotografia. Assolutamente in bianco e nero.
Angelo Guglielmi
«L’Espresso», 30 settembre 1999
Lalla Romano racconta soltanto ciò che sa per certo dei suoi personaggi, e talvolta è quasi un niente. Ma è in un dettaglio fisico o morale, nell’accostamento apparentemente incongruo delle situazioni, nella rimarginatura di momenti divaricati e negli stessi interstizi di silenzio che le sue figure prendono luce, che la loro vita diventa comunque significativa. […]
Storie che prendono luce dal taglio dei «fotogrammi», dall’evidenza del prelievo in un’aria di indefinitezza, dalle insinuazioni di una indagine che, per essere controllata, non risulta meno affettuosa. In una lingua che si vuole impassibile come spetta irrevocabilmente al vero, sfiorata appena, nelle clausole epigrafiche, da uno humor impalpabile, radente.
Lorenzo Mondo
«La Stampa», 24 luglio 1999
Con i racconti di Dall’ombra Lalla Romano compone il tassello mancante di quella trilogia che richiama al suo «romanzo di formazione» e che si apre con La penombra che abbiamo attraversato (gli anni dell’infanzia) e si chiude con Una giovinezza inventata. […]
Lalla Romano completa il trittico, scegliendo come struttura narrativa quella del «frammento» che ha contrassegnato la sua ultima produzione, affiancando così, una accanto all’altra, figure che emergono dall’ombra antica nell’emblematicità che hanno rappresentato nell’evolversi dell’esistenza della Romano. Sono figure che emergono da quell’ombra, intuita come «loro vita defunta», tracce di un passato che va al di là della sola cognizione della memoria, ma si impone come luogo di devozione, soprattutto per quella tappa di formazione che rappresenta. In essa sono le persone a imporre la loro presenza: le amiche e gli amici, le figure familiari, i professori. Ognuno ha storie tanto lontane e segrete, tanto da parere quasi «irrevocabili» e Lalla Romano sceglie comunque di farle emergere, «ritrovandole» in colloquiali e lucidi racconti che nulla concedono a nessuna enfasi o luogo comune.
Fulvio Panzeri
«Avvenire», 29 luglio 1999
Come adopera la memoria Lalla Romano? Se potessi avanzare un’ipotesi direi che la sua memoria continua a coincidere con la realtà, non importa se vissuta oppure fantastica. […] La memoria della Romano è un esempio eccezionale di libertà e di indipendenza e nello stesso tempo è viva come una fotografia appena scattata, ieri o qualche ora fa. Non è la prima volta che la grande scrittrice si serve di questo stratagemma (lo ha fatto in gran parte dei suoi libri); ma qui ciò che colpisce di più è l’evidenza, l’immediatezza e la vitalità delle sue folgorazioni e dei suoi ricordi.
Le basta un esile filo della memoria per risalire alle origini dei sentimenti e per mettere il lettore alla pari con i suoi eroi o con le sue eroine che in gran parte erano compagne di scuola o personaggi caratteristici del suo piccolo mondo antico. Tant’è vero che non le interessa darci la soluzione di un caso, quello che sarebbe stato il seguito […]. La Romano è mille miglia lontana dall’idea e dalle strutture del bozzetto e questo ci fa capire il peso e il valore della continua presenza della sua vita e soprattutto della sua visione poetica; così i suoi personaggi sono fatti di carne e di fantasia, di sangue e di intelligenza pura.
Carlo Bo
«Corriere della Sera», 30 luglio 1999
Non crediate che l’autrice sia, verso i suoi personaggi, debole e indulgente, disposta a rinunciare alla brusca sincerità. Della foto in copertina, quella di fine corso del 1921, «alcune figure non interessano, anzi disturbano». E di una cosa siamo sicuri, di certe compagne di scuola, alla scrittrice, «non interessa parlare»: e non ne parlerà.
Non si dia a queste parole il valore di un capriccio, di una prepotenza: esse valgono, piuttosto, come una dichiarazione di poetica. E cioè, questa: non tutto ciò che è accaduto, nel passato, può valere allo stesso modo. Meglio: non tutto il passato è «vero». Se dovessi indicare il grande tema che occupa la vasta opera di questa formidabile narratrice, la sua condizione per così dire trascendentale, non avrei dubbi: l’invenzione della verità. Come questa invenzione avvenga – perché sempre avviene –, è il grande miracolo dei suoi libri trasparenti, della loro luce immobile e alpina. […] Tutti i racconti della Romano hanno sigillata in se stessi la propria interpretazione. Tenetevi lontani, lettori, da ogni facile psicologismo: nessuna chiave di agguerrita metodologia potrebbe disserrarne il segreto. Ogni balenante frammento di passato dovrà portare in dono, per venire davvero alla luce, un suo tributo di tenebra: perché la vita, restituita dal prodigio della scrittura, possa uscirne come intensificata, raddoppiata. È così che ogni persona, annegata nella notte del tempo, potrà resuscitare come un personaggio vero, «il solo importante».
Massimo Onofri
«Diario della settimana», IV (4/10-8-1999), n. 31
Asciutto, essenziale, di facile lettura, Dall’ombra è un libro delicato, intenso, poetico, eppure aspro, inflessibile in alcune asserzioni. Le figure che lo animano sono «tutte emblematiche di qualcosa di noi, del nostro tempo». Anche nei frammenti. Nelle annotazioni veloci. Nelle domande senza risposta. Nei misteri inesplicabili.
Luigi Vaccari
«Il Messaggero», 17 agosto 1999
Tutto ciò che la scrittrice piemontese racconta non può che avere i tratti dell’assoluto. Non serve quasi a nulla, nonostante che tanto il suo mondo parli attraverso l’io che lo rivive, risalire ai gesti che accompagnano la percezione. Diventa invece decisiva la speciale sprezzatura che investe la parola, sprigionandone una sorta di energia bianca. La classica trasparenza della parola-cosa si rivela dunque fondamentale per comprendere come i libri della Romano rimangano, giustappunto, gli stessi: così stilisticamente scabri ed essenziali nella loro diversità contenutistica. Ragion per cui il lettore non deve aspettarsi racconti per disteso.
A contare è la musica. Un enigma che specchiandosi nell’enigma trasforma la vita dei personaggi, al di là di ogni metamorfosi, nell’essenza della loro «ombra», del loro destino.
Giovanni Tesio
«Torinosette» / «La Stampa», n. 560, 15/21 ottobre 1999