Inseparabile
Edizioni
Prima edizione: Einaudi («Supercoralli»), Torino 1981.
Successive edizioni Einaudi: Einaudi Tascabili, Torino1999.
Altre edizioni: Oscar Mondadori, Introduzione di Vittorio Spinazzola, Milano 1986; in Opere, a cura di Cesare Segre, Mondadori («I Meridiani»), Milano 1992, vol. II, pp. 859-1030.
Traduzione: Inséparable (Philippe Giraudon), Aralia, Parigi 1996.
Titolo
Un disegno del nipote Emiliano – riprodotto sulla copertina del libro – rappresentava un pappagallo coloratissimo con in capo al foglio il titolo: «Inseparabile». L’autrice raccontò a Cesare Segre che quel disegno riproduceva un’illustrazione vista dal bambino – forse su un libro di scienze – con una didascalia, in cui si diceva che le coppie di questi uccelli sono inseparabili e vivono insieme tutta la vita. È «la potenza affermativa che consiste nel negare la negazione» quella che spinse il piccolo Emiliano a scrivere la «parola fatale» (Lalla Romano). «Inseparabile» è anche Emiliano stesso dai suoi affetti e dalle generazioni che lo hanno preceduto.
Argomento
«È una lunga e complessa cronaca famigliare» (parole dell’autrice) che ruota intorno alla crisi di un matrimonio vista con gli occhi della vittima della separazione, Emiliano, il bambino nipote della scrittrice. Nonni, padri, madri, tate sono tutti raccontati nell’ottica del protagonista principale, Emiliano, che attraversa il mondo degli adulti e i loro difficili rapporti con una precoce sensibilità e una dolcezza struggente. La relazione fra il bambino e i nonni diventa un punto fermo in un universo privo di certezze, turbato da una crisi epocale che rispecchia quella della coppia tradizionale.
Incipit
Lei è misteriosa. Forse perché non parla; ma è qualcosa di più sottile e insieme di più disarmante. Riconosco di essere sempre stata un po’ innamorata di lei: da ciò la timidezza che questa condizione comporta (considerandolo un amore non corrisposto: ma chi sa?)
Piero è segreto, piuttosto che misterioso. E il segreto esiste; infatti è volontario. Mentre il mistero può essere – anzi, è – frutto di fantasia.
Nemmeno lui parla; però scrive, anche se raramente, e scrive in modo lucido, corposo, perfino quando usa, come fa ora, il linguaggio criptico delle favole e delle allegorie. Penso anzi che ricorra a questo linguaggio un po’ incantato per esprimere e insieme conservare il suo segreto. Il quale è legato in gran parte al mistero di lei. Sì, è un circolo.
Antologia della critica
La scelta di Lalla Romano è stata […] di raccontare un’ininterrotta cronaca familiare, che si alimenta da se stessa, a mano a mano che il tempo passa e la vita va avanti, con le nascite, i matrimoni, le separazioni, le crisi, le morti. […]
Il tentativo di far coincidere vita e scrittura è portato alle conseguenze estreme.
Giorgio Bàrberi Squarotti
«La Stampa / Tuttolibri», 26 settembre 1981
Inseparabile è tutto proiettato all’interno di un gioco psicologico molto arduo e sottile. […]
La capacità e la forza di osservazione paiono prevalere su qualsiasi altro tipo di assuefazione e di ricerca del vero e del reale. […]
La realtà è, in altri termini, strutturale, nel senso che il rapporto fra la progettazione e la sua attuazione prospetta non poche difficoltà espressive che la scrittrice cerca di risolvere attraverso un raccontare prosciugato ed essenziale, nel quale ricopre un ruolo fondamentale l’icasticità dell’eloquio piuttosto che la ridondanza verbale, che pure rappresentava una non trascurabile tentazione.
Lo stesso schema generale che impone una triplice suddivisione al romanzo, come a voler centrare i tre tempi fondamentali della vicenda, si configura come uno svincolo reso necessario dall’arduità di una tematica che, ben oltre i luoghi comuni, è fra le più complesse del nostro tempo.
Walter Mauro
«Il Mattino», 27 settembre 1981
Il libro, come altri precedenti di questa scrittrice, poggia su due aspetti principali che qui raggiungono approfondimento e rarefazione. Da una parte la presentazione di un’intima civiltà: quella privata degli affetti. Dall’altra un modo di narrare attento e minuzioso, attraverso un susseguirsi ininterrotto di quadretti o piuttosto di miniature illuminate o sfumate, oltremodo precise e affascinanti, tracciate e colorite con la sicurezza di chi conosce a fondo la propria tematica. È un discorso narrativo che s’irradia nei particolari. Vi si smarrisce. Poi li recupera a distanza su un filo di parole che rimane comunque centrale.
Michele Rago
«Paese Sera», 29 settembre 1981
Tocco dopo tocco, si viene componendo lo squisito ritratto di Emiliano, bambino di eccezionale sensibilità anche artistica. Ma anche Emiliano, come ogni altra cosa, è disegnato con tratti fuggitivi, non finiti. […] Quello di Emiliano non è un ritratto alla Casorati, di cui la Romano ha frequentato lo studio. È un ritratto alla De Pisis. Quello della Romano è un mondo in cui i silenzi contano più delle parole; un mondo che parrebbe dissolversi e perdersi nell’aria, se non fosse cucito con il doppio filo dell’intelligenza e di una sottile magia.
Carlo Sgorlon
«Il Giornale Nuovo», 4 ottobre 1981
Scrisse Montale, quando Lalla Romano prendeva nel 1969 il premio Strega con Le parole tra noi leggere: «Se c’è ancora qualche lettore capace di amare una poesia incapace di esibirsi come tale, questo è il libro che fa per lui». Il libro della scrittrice piemontese, Inseparabile, è più bello, più stringato, centrato de Le parole, ed oggi il giudizio sintetico del poeta appare ancor più centrato. Se romanzo vuol dire intreccio apparentemente casuale di fili di varia grossezza, tesi al momento opportuno per formare trama e disegno, questo è un vero romanzo, soffuso come pochi altri di poesia.
Wanda Lattes
«La Nazione», 8 ottobre 1981
Nel libro predomina l’angoscia. Inseparabile è l’opera più dolorosa di Lalla Romano ed è nella scrittura il ritmo di questo dolore. I quadri, i «respiri», i capitoli in cui il libro è scandito sono conchiusi, ognuno con una sua moralità espressa o sottintesa ma definitiva, come sono definitive tutte le cose che accadano. […]
Spicca come sempre in questo libro dalla moralità intensa e non semplificabile, la scrittura, la sua lucidità, la sua passione, la sua oggettività, incisa spesso in sticomitie brevi, illuminanti, nelle quali angoscia e gioia, inseparabilmente, cristallizzano congiunte.
Giovanni Tesio
«Nuova società», 10 ottobre 1981
Lalla Romano sembra abbia intrapreso a narrare il microcosmo familiare variandone nel tempo aspetti, figure, personaggi, ma figgendovi dentro il proprio segno, quello di una esplorazione al cui centro la narratrice si pone come rivelatrice di cambiamenti, delle metamorfosi, delle impercettibili variazioni nella corsa del tempo e dell’esistenza. […]
Inseparabile, così acuto in certe pagine, così calibrato in alcuni passaggi, resta forse il romanzo di Lalla Romano più vero, là dove proprio la finzione narrativa prende i colori della fabula, autentica cronaca familiare ma anche registrazione tenera di un’anima che si apre su un mondo disumano.
Giancarlo Pandini
«L’Avvenire», 29 ottobre 1981
Inseparabile […]: vogliamo alludere subito al ritmo della narrazione, segmentata in piccoli, talora piccolissimi, capitoli, che meglio sarebbe dire paragrafi, ove si svolge un minimo racconto condotto a volte su un dettaglio di fatti, tal altra su impressioni psicologiche, ricordi, enunciazioni di principio e simili. […]
Nel descrivere e immaginare, nel seguire e precedere la vita di Emiliano, l’autrice ritrae un mondo intero, suo e nostro, impara il valore del narrare (come lei stessa dice), anche se poi lo evita nel suo mestiere di scrivere: sa la storia ma non solletica gli amanti di storie; sa dipingere, ma rifugge il bel quadro; conosce tutto, ma lo reimpara con il lettore.
Claudio Toscani
«Brescia Oggi», 29 ottobre 1981
Ormai da vari decenni, Lalla Romano replica di libro in libro la sua proposta narrativa dei sentimenti, aliena dai vizi del sentimentalismo. Lo sguardo della scrittrice si concentra sulla vita degli affetti familiari, con un’attenzione analitica che rifugge dal patetismo melodrammatico, ma non per questo si snerva nelle complicazioni d’un cerebralismo arrovellato. La Romano si attiene a una fenomenologia di comportamenti privati descritti con lucidità puntigliosa, senza morbidezze compiaciute né indulgenze a buon mercato. […]
Il racconto è condotto in prima persona, con un forte accento autobiografico. Tuttavia il libro ha un singolare fascino romanzesco, che gli deriva proprio dalla rinunzia a costringere la vicenda entro le categorie di giudizio prestabilite: senza per questo venir meno all’impegno, e alla sofferenza, di un esercizio costante della critica e dell’autocritica.
Vittorio Spinazzola
«L’Unità», 29 ottobre 1981
Non diario, non cronaca familiare, ma piuttosto raccolta di notazioni apparentemente sparse nel tempo e nello spazio, il libro della Romano costituisce un autentico capitolo di poesia dell’infanzia, senza nulla di zuccheroso o di melato, che reca anzi l’inconfondibile impronta stilistica di una grande compostezza e limpidezza, tese a dominare una sensibilità spesso esasperata e una materia troppo spesso oscura, se non torbida. Sicché l’impressione finale è di levità, nonostante la gravità dei casi e il pathos delle situazioni: una levità conquistata forse anche sull’esempio di Emiliano stesso, il piccolo «dio benevolo» che tocca l’egoismo e la miseria degli adulti con il suo sorridente mistero.
Antonia Mazza
«Letture», XXXVI (1981), n. 12, p. 854
Nel libro non c’è narrazione nel senso tradizionale del termine: la successione dei fatti è rapida, ellittica; ogni fatto – e il suo giudizio – è cristallizzato nel momento culminante, come fuori del tempo. […]
Dramma, non dichiarato, in profondo; in superficie un oggettivo distacco; il controllo ironico, spesso, delle situazioni «contiene» la tempesta. La struttura linguistica, rapida, tesa, spoglia del soprappiù emozionale le situazioni, che pure ne sono intrise. Nel periodare breve, scarno, nel vocabolario preciso ed evocante, nelle pause di una punteggiatura franta, i fatti hanno forma per attimi fugaci e rivelatori. Poiché il fascino del libro, il fascino sottile di Emiliano, è, e dura, in quanto la sua pensosa gentilezza è concreta in un’operazione linguistica.
Carla Mazzarello
«Il Secolo XIX», 20 febbraio 1982
È un libro pieno di dolore e di dolcezza, non sempre mescolati secondo la formula della felicità («la felicità è un dolore dolce») che la Romano cita da Singer. Specialmente nella prima parte, separazione e morte si rivelano assieme: perché mentre matura la separazione dei genitori, Emiliano si pone le prime domande sulla morte e sull’eventuale sopravvivenza.
Cesare Segre
Introduzione a L. Romano, Opere, Mondadori («I Meridiani»),
Milano 1991, vol. I, pp. XLII-XLIII